Fotografia Terapeutica

Servizio di reportage individuale, usando la fotografia come supporto terapeutico.

Profondità psicologica ed emotiva:

Con il ritratto che raggiunge i suoi limiti estetici, si presenta l’opportunità di esplorare dimensioni più intime e profonde del soggetto. Un ritratto deve poter andare oltre la superficie, toccando le corde della personalità e dell’esperienza umana, riflettendo i pensieri interni, le emozioni e le complessità del soggetto ritratto.

Questa esplorazione richiede da parte del fotografo una maggiore sensibilità e intuizione, nonché la capacità di creare un ambiente in cui il soggetto si presenta abbastanza a proprio agio per rivelare parti più intime di se.

La necessità di un lavoro più profondo nella fotografia di ritratto terapeutico implica un rinnovato dialogo tra il fotografo e il soggetto. Questo dialogo non deve limitarsi a un mero scambio superficiale ma deve trasformarsi in una vera e proprioa “collaborazione creativa”, dove il soggetto partecipa attivamente al processo cretivo. Questo approccio può portare ritratti più autentici e significativi, dove la personalità del soggette contribuisce a plasmare il risultato finale.

Ci sono molte più cose di quelle che vediamo.

Fotografia Terapeutica Michela Marcon

Usare la fotografia
per la crescita personale

Le opere sono accompagnate da un lungo e meticoloso percorso interiore con il protagonista che prevede una preparazione del set e dei soggetti coinvolti proprio per costruire quel contesto di confidenza in cui possa realizzarsi quel congelamento temporaneo determinato dallo scatto.
La persona diventa protagonista di SE.
Un evento emozionante, che si prolunga nel tempo

Accadono cose

Quando dai la possibilità di stare in silenzio, l’altro parla

Barbara

La storia di Barbara
Autoritratto
per ritrovare l’Autostima

Come mi vede il mondo?
Ma come mi pongo al mondo?
Sono consapevole che c’è una crepa tra il modo in cui mi rappresento e la visione dell’altro di me.

Parto dal volermi assottigliare e nascondere ma in realtà mi rendo ancora più visibile e offensiva, così come fossi proprio sotto al faro fotografico.
Essere sollecitata a mostrarmi, a spostare il mio corpo da dentro.
Sentire come si spacca per spostarsi in fissità e rigidezza,
come angola strozzato, come fatica a prendere respiro e spazio,
come lo trattengo tutto.
Così come risucchio tutto il mondo che voglio portare dentro
e che poi sputo a pezzettoni, indigesto.
Sentirmi poi addolcire una guancia, la resa delle spalle,
respira la punta del piede e piano piano respirare tutto il piede che appoggia, sentirmi dimorare.
E allora uno sguardo diverso alla fotografa che incoraggia,
perchè sa vedermi.
C’è qualcosa di molto materico tra lei e me:
una macchina fredda e meccanica.

Ed allora una curvatura che si fa ma non si vede.
È grazia.
Insieme alla mendincante e alla miseria esce un moto armonioso.
Accattivare lo sguardo come quando desideravo delle mani addosso.
Come quando desideravo un altro corpo addosso.
Un sottile guardarmi dentro.
Forse non ci sono luci e fari.
Forse non ci sono neon e sfondi.
Forse c’è un anima che sa spogliare. Rivoltando a nudo.
Così che prende forma il dietro le quinte, caleidoscopio variopinto di tante ME.
Rimango incredula ogni volta.
C’è forza, vita, fiducia e corpo, lì fuori di me , non posso negarlo
Non posso negarlo a chi è sempre meno.
Barbara

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